Il mio rapporto con la fotografia nei panni del soggetto è sempre stato un po’ particolare.
Non amavo farmi fotografare, ero una di quelle persone schive che se possono evitano, spesso mettono la mano davanti al volto per coprirsi (rovinando impietosamente ogni scatto di gruppo) o, al limite, se costrette, compaiono con quei visi tesi e quei sorrisi finti che ti vien da dire MACCHEBBELLAFOTO!!!!!
Arrivano però a volte dei momenti in cui si ha voglia di vedersi diversi, si ha voglia di capire cosa vedono gli altri quando ci guardano e, superato l’imbarazzo iniziale di chi è timido, o semplicemente non è abituato a posare, si scopre un’immagine restituita di se stessi che non immaginavamo.
A me è successo esattamente questo, ho beneficiato in prima persona degli effetti che può fare farsi fotografare in particolari istanti della propria vita. Mi ha fatto sentire meglio, mi ha messo davanti agli occhi una lettura diversa di me stessa e lo stesso servizio mi è poi stato chiesto da persone che avevano la stessa esigenza di riceverlo. E’ questo che intendo per uso della fotografia di ritratto come terapia, quelle immagini diventano inevitabilmente le tracce di una sorta di rinascita e per questo ancora più speciali.
Ho deciso allora di avvicinarmi al mondo del ritratto alla ricerca di un modo efficace di trasmettere questo valore, in cui imparare a gestire sempre al meglio la luce è fondamentale per creare l’effetto desiderato sul soggetto, poichè anche la minima variazione può dare un significato e un’emozione diversa all’insieme. Imparare inoltre a comunicare con chi sta posando prevede una forma di empatia che si deve instaurare già dai primi istanti.
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